L’olfatto è definito un senso “chimico” e, anche se nell’uomo ha perso gran parte dell’importanza biologica che riveste invece per tutti gli animali, resta tuttavia fondamentale per la percezione “emotiva” in diverse circostanze.
Ad esempio l’olfatto è strettamente correlato al gusto, e l’odore gradevole dei cibi è in grado di stimolare per riflesso le ghiandole digestive.
In alcuni animali questo legame è così forte che, in caso di perdita dell’odorato, cessano addirittura di mangiare.
La finezza dell’olfatto è misurata con un test olfattometrico che permette di individuare la capacità del soggetto di distinguere odori e intensità differenti, oltre a determinare la soglia minima di sensibilità olfattiva, cioè la quantità minima di emissione odorosa in grado di stimolare la mucosa.
Le cause delle alterazioni olfattive
Possono essere di varia natura, ma le più frequenti sono anosmia e iposmia, cioè rispettivamente la perdita e la riduzione dell’olfatto.
Interessano circa il 10-15% della popolazione sana, ovvero non colpita da disturbi correlati quali sinusite, poliposi, ecc.
I disturbi possono avere origine da numerose problematiche, per convenzione suddivise in due sole tipologie:
– cause ostruttive, ad es. le poliposi, che impediscono agli odori di raggiungere l’area olfattiva situata nella parte superiore del naso;
– cause neurosensoriali, in cui il disturbo nasce da un danno alle cellule olfattive o alle strutture nervose (nervo olfattivo o area cerebrale olfattiva).
Nel secondo caso i problemi si possono manifestare come conseguenza di danni all’epitelio olfattivo causati da:
– infezioni virali o batteriche
– riniti croniche
– neoplasie
oppure da traumi di vario genere che distruggono i filamenti del nervo olfattivo.
Il trauma cranico risulta la causa più frequente di anosmia nei soggetti giovani, mentre le infezioni lo sono negli anziani.
Un’anosmia congenita si può invece verificare in associazione all’ipogonadismo maschile.
La riduzione dell’olfatto è anche il primo segno di due gravi patologie quali Parkinson e Alzheimer: un’alterazione olfattiva che si manifesta verso i 30-40 anni potrebbe significare un rischio più elevato di sviluppare in seguito una di queste malattie.
Infine, anche le cause ambientali come inquinamento e polveri sottili rivestono un ruolo importante nell’insorgere dei disturbi.
Diagnosi e trattamento
Le indagini diagnostiche nei confronti di anosmia e iposmia si articolano in fasi successive:
– test olfattometrico per la valutazione della soglia di percezione del paziente;
– analisi delle vie respiratorie superiori;
– esami neurologici, in particolare dei nervi cranici, se il caso specifico lo richiede;
– una TAC o una risonanza magnetica rendono infine possibile individuare eventuali malformazioni anatomiche correggibili chirurgicamente.
Per quanto riguarda il trattamento, non è possibile intervenire specificamente contro la perdita o la riduzione dell’olfatto. Tuttavia, la rimozione chirurgica delle cause ostruttive porta spesso a un recupero della funzionalità, così come la risoluzione terapeutica di eventuali riniti e rinosinusiti.
In caso di danni all’epitelio olfattivo e alle terminazioni nervose la situazione è invece più complessa e in teoria cronica, ma non è infrequente che i pazienti possano andare incontro a un recupero spontaneo, dovuto alla capacità rigenerativa delle cellule nervose dell’olfatto.
Su questo fronte si stanno aprendo nuove prospettive grazie ad alcuni studi attualmente in corso sulle potenzialità dell’acido ialuronico.
Stimoli olfattivi appropriati sarebbero in grado di far evolvere le cellule “totipotenti” presenti nell’area dell’odorato in cellule olfattive, agevolando il recupero del paziente. L’acido ialuronico sotto forma di lavaggi e nebulizzazioni nasali fornisce in questo percorso un aiuto fondamentale, agevolando il trasporto delle particelle “stimolanti” nell’area olfattiva, oltre a funzionare da rivitalizzante della mucosa.