Forum Ten Minute Answers: un format molto particolare. Da dove nasce l’idea? Qual è il messaggio di fondo che si vuole trasmettere?
L’idea del Forum in Cardiologia TMA nasce fondamentalmente dall’esperienza passata, cioè dall’aver partecipato a tanti convegni nei quali venivano esposti temi molto generali, e nei quali difficilmente si riusciva a mantenere l’interesse per l’intera relazione.
Ci sono anche degli studi in questo senso: quando si ascolta qualcuno parlare, per quanto possa essere bravo, dopo 10 minuti c’è un calo fisiologico dell’attenzione.
Nel motto del convegno – “rem tene, verba sequentur” (conosci il concetto, le parole seguiranno) – è racchiuso tutto: i relatori per riuscire a trasmettere messaggi chiari e concreti devono conoscere molto bene la materia, perché solo in questo modo è possibile offrire una sintesi efficace.
Per la stessa ragione, il congresso è privo di letture: anche i relatori di rilievo internazionale che accettano di partecipare, si adeguano volentieri al tempo a disposizione, consapevoli che si tratta di una formula molto interessante dal punto di vista divulgativo.
Quali sono i temi di maggiore interesse affrontati nel 2015?
Non trattandosi di un congresso monotematico, si cerca di offrire sempre una panoramica su diversi campi della Cardiologia, affrontando gli argomenti di impatto quotidiano più importanti. Quest’anno, in particolare, sono stati trattati argomenti “tecnologici” riguardanti i nuovi dispositivi di assistenza ventricolare, i cuori artificiali.
Si è parlato poi dell’utilizzo ottimale dei farmaci più innovativi per il trattamento a breve e a lungo a termine delle sindromi coronariche acute. Un intervento importante è stato inoltre quello sui benefici degli Omega-3 nella malattia coronarica. Ne ha parlato il Professor Temporelli di Veruno, che si occupa di riabilitazione ed è un esperto della materia.
Il punto importante emerso è che si tratta di sostanze essenziali per la prevenzione cardiovascolare, sia nella popolazione generale, ovvero in chi non ha mai avuto eventi – prevenzione primaria, sia nella prevenzione secondaria dei pazienti già colpiti da un infarto.
Riguardo a questi ultimi, è noto ormai da alcuni anni, e confermato da studi clinici e osservazionali recenti, che la somministrazione di 1g di Omega-3 al giorno, nella formulazione che comprende EPA, DHA e acido alfa linolenico, è in grado di ridurre le recidive di infarto miocardico, l’ictus e la mortalità dopo un infarto miocardico, grazie soprattutto all’azione antiaritmica di queste sostanze.
Questo dato è di estrema importanza, e bisogna continuare a trasferirlo ai cardiologi, perché, nonostante le evidenze, gli Omega-3 sono ancora sottoutilizzati rispetto al beneficio sottostante.
Omega-3 efficaci anche per la prevenzione primaria nella popolazione generale, si diceva. Come agiscono in questo caso?
Un apporto di 250 mg al giorno di Omega-3 è sufficiente per un’efficace azione preventiva in ogni soggetto, grazie al loro effetto anti-aterosclerotico e anti-trombotico.
In sostanza, dal momento della nascita, tutti cominciamo a sviluppare aterosclerosi, e l’assunzione giornaliera di Omega-3 è in grado di prevenire il problema mediante un’azione biologica in grado di contrastare il fenomeno.
A dosaggi più elevati (3g al giorno), sono inoltre impiegati per abbassare i trigliceridi elevati, altro importante fattore di rischio cardiovascolare.
Stiamo parlando di farmaci o di integratori?
Ovviamente stiamo parlando di farmaci. La questione è di rilievo, perché il problema principale riguardo all’uso degli Omega-3 è proprio che farmaci e integratori vengono spesso confusi.
I primi sono garantiti da tecnologie farmaceutiche controllate e affidabili che si traducono in dosaggi predefiniti e precisi (1g); gli integratori diffusi in commercio hanno invece dosaggi variabili che vanno dai 100 ai 400 mg, spesso non sufficienti per una efficace prevenzione.
Tra l’altro, uno dei motivi per cui alcune metanalisi – ovvero delle analisi su più studi -hanno dato risultati negativi sull’efficacia degli Omega-3, è proprio perché metodologicamente erano non corretti, mettendo insieme i dati di studi sull’assunzione di preparazioni non farmaceutiche che contenevano quantità eterogenee di sostanza.
Quanto incide la dieta nell’aspetto prevenzione?
L’alimentazione è naturalmente molto importante. La migliore strategia consiste nell’avere una dieta equilibrata, cioè che contenga lipidi, carboidrati e proteine nelle giuste quantità; bisogna poi ridurre quanto più possibile i grassi saturi: i salumi, i dolci ricchi di uova, il burro, i formaggi stagionati, ecc, e prediligere tutti i grassi polinsaturi – di cui fanno parte anche gli Omega-3 – o monoinsaturi, come l’olio extravergine d’oliva.
Anche le noci sono estremamente salutari, grazie al loro elevato contenuto di acido alfa-linolenico: mangiarne tre al giorno è un’ottima abitudine per proteggere il nostro cuore.
Naturalmente anche una dieta ricca di fibre, con le “famose” cinque porzioni quotidiane di frutta e verdura, è molto utile nella prevenzione, perché aiuta a contenere l’assorbimento dei grassi contenuti nei cibi.
Si è recentemente molto parlato degli effetti nocivi della carne rossa. Il pesce invece è da consigliare?
Il pesce è senz’altro un alimento essenziale: basti pensare che il Giappone, dove c’è il maggior consumo di pesce al mondo, è il Paese con la minore incidenza di eventi cardiovascolari.
Il pesce fa benissimo, ma meglio quello ricco di Omega-3: 100g di merluzzo ne contengono 1g, mentre altri pesci più “rinomati” – come ad esempio le sogliole, ne hanno quantità 10 volte inferiori.
Con questi dati sembrerebbe che il solo consumo di pesce potrebbe bastare per il fabbisogno giornaliero di Omega-3, ma se trasferiamo questi dati a livello di popolazione generale, sia dal punto di vista economico, sia ambientale, la cosa non sarebbe sostenibile. Da qui l’importanza di ricorrere quando necessario alla supplementazione con preparazioni farmaceutiche di Omega-3.
Alimentazione e fattori di rischio: quanto pesa il colesterolo?
Il colesterolo incide molto, in particolare ci riferiamo al colesterolo LDL, che è quello più nocivo a livello di placca aterosclerotica, sia perché ne favorisce la formazione, sia perché contribuisce ad infiammarla aumentando il rischio che le placche si rompano dando luogo a eventi ischemici.
Parlando di prevenzione cardiovascolare, per le LDL ci sono dei valori soglia che variano a seconda del rischio della popolazione generale, ma non è sempre facile raggiungere i livelli ritenuti ottimali. In questi casi gli integratori possono avere un importante effetto aggiuntivo a quello del trattamento farmacologico, o addirittura essere impiegati in sostituzione dei farmaci stessi quando esiste un’intolleranza a questi ultimi.
In ogni caso è necessario utilizzare integratori dall’efficacia dimostrata, con componenti in quantità adeguata e controllata.
Qual è il fattore di rischio più determinante?
Quando parliamo di fattori di rischio 2 + 2 non fa mai quattro: essi interagiscono in modo sinergico fra loro, potenziandosi a vicenda.
Ma, se dovessi indicarne uno soltanto, direi senz’altro il fumo. Agisce da moltiplicatore nei confronti degli altri fattori di rischio e inoltre crea una resistenza all’azione di molti farmaci, creando, anche problemi di tipo oncologico e respiratorio, oltre a quelli cardiovascolari.
È un fattore di rischio sul quale molto si è fatto, ma occorre continuare ad intervenire con sempre maggiore insistenza, attraverso adeguate campagne educazionali, anche perché i giovani fumatori risultano purtroppo in aumento.
Quali sono i campanelli d’allarme che dovrebbero farci preoccupare per la salute del nostro cuore?
Nel quadro sintomatologico bisogna prestare attenzione alla presenza di dolore, soprattutto se insorge in seguito a sforzi o emozioni, caratterizzato da un senso di oppressione associato a una sensazione di malessere. Un dolore che invece non dovrebbe preoccupare è quello cosiddetto trafittivo, che invece porta spesso le persone a fare visite e controlli inutili. Per evitarlo basterebbe constatare se il dolore si accentua con la respirazione profonda, oppure pressando alcuni punti del torace: in questi casi si tratta quasi certamente di fibromialgia, che nulla ha a che vedere con l’infarto.
Un altro sintomo importante è la dispnea, ovvero una difficoltà respiratoria che causa il “fiatone” anche per sforzi lievi. Ad esempio, se salendo 1-2 rampe di scale insorge l’affanno è meglio rivolgersi a un cardiologo per una visita.
Infine, grande rilevanza ha la familiarità: chi sa di avere in famiglia persone che hanno avuto eventi cardiovascolari in età precoce, al di sotto dei 55 anni, dovrebbe fare controlli più frequenti.
L’infarto può colpire anche persone non a rischio e che non presentano sintomi particolari?
L’infarto colpisce purtroppo anche soggetti in buona salute e senza fattori di rischio particolarmente significativi. Dell’infarto non conosciamo ancora ogni aspetto, e senz’altro alcuni fattori di rischio, come l’aterosclerosi, hanno ancora dei lati oscuri non del tutto chiariti. Inoltre, come detto, familiarità e genetica rivestono un ruolo decisivo.
Qual è l’approccio che il cardiologo dovrebbe utilizzare con un paziente che ha avuto un infarto?
La cosa più importante è saper comunicare, ovvero informare il paziente dell’importanza di tenere certi comportamenti in termini di stile di vita e di aderenza terapeutica.
Spiegare che cosa si prescrive e perché, illustrare l’importanza salvavita di ogni singola medicina, può essere di grande aiuto in questo senso.
Tutto questo va proseguito nel tempo, con appuntamenti di follow up ogni pochi mesi. Un paziente lasciato solo, molto spesso smette di curarsi; per ottimizzare i risultati terapeutici è importante mantenere viva questa alleanza terapeutica tra medico e paziente.