Quando è necessario ricorrere alla radioterapia? Quali effetti collaterali comporta questo trattamento? Con il Dott. Marco Orsatti* abbiamo affrontato in particolare la questione delle conseguenze delle radiazioni sull’apparato urinario e delle strategie da adottare per limitare i disturbi infiammatori della vescica.
Qual è l’obiettivo terapeutico dei trattamenti di radioterapia? Per quali patologie vengono utilizzati?
La radioterapia, insieme a chirurgia e chemioterapia, viene impiegata nella cura delle neoplasie. Queste tre discipline sono spesso combinate e si integrano nel percorso terapeutico, in quanto il trattamento del tumore viene gestito a livello multidisciplinare, così da ottimizzarne l’efficacia. La radioterapia in particolare interviene in circa l’80% dei casi, e talora rappresenta la terapia esclusiva, ad esempio nei tumori non operabili.
Che radiazioni vengono impiegate? E come agiscono?
Si tratta di radiazioni ionizzanti, definite fotoni. In pratica sono raggi X ad elevata energia che vanno ad intervenire sulle cellule tumorali, uccidendole mediante la rottura della catena del DNA. Naturalmente è necessario essere il più possibile precisi sul bersaglio tumorale, per limitare l’esposizione alle radiazioni delle cellule sane circostanti.
Quali sono le conseguenze sull’organismo?
La tecnologia sempre più avanzata ci viene in aiuto nel ridurre al minimo l’irradiazione degli organi sani, ma alcuni effetti collaterali sono comunque inevitabili. I pazienti sono spesso preoccupati delle conseguenze delle radiazioni a livello generale per l’organismo, ma su questo punto è necessario fugare ogni dubbio, chiarendo bene che ogni eventuale effetto è sempre limitato soltanto alla sede su cui viene effettuato il trattamento.
Focalizzando il discorso sulla radioterapia pelvica, la comparsa di cistite è un’inevitabile conseguenza del trattamento?
La cistite è un effetto collaterale che si presenta in circa il 50% dei pazienti sottoposti a trattamento radioterapico nell’area pelvica per la cura di tumori della vescica, della prostata, dell’utero o delle ovaie, ma anche dell’apparato gastroenterico.
Gli effetti della radioterapia in questo senso sono di due tipi: acuti – che insorgono durante il trattamento – e tardivi – che possono comparire a distanza di tempo (anche mesi o anni) dall’irradiazione.
Nei due casi, i distretti coinvolti sono differenti: l’effetto acuto è legato a un’infiammazione della mucosa vescicale, costituita da cellule a rapida proliferazione che risentono immediatamente delle radiazioni; quello tardivo invece interessa i tessuti connettivi, le cui cellule replicano più lentamente e manifestano i problemi dopo un certo periodo.
Naturalmente le due condizioni sono legate, perché non gestire correttamente la fase acuta espone al rischio dell’insorgere di quella tardiva, soggetta a cronicizzazione, con conseguente irrigidimento delle pareti vescicali, danni vascolari ed emorragie, che nei casi più gravi possono portare all’asportazione della vescica.
Come intervenire per arrestare il processo che provoca la cistite?
In pratica, le radiazioni danneggiano la mucosa che riveste internamente la vescica, rendendola permeabile alle particelle nocive contenute nell’urina che creano il processo infiammatorio. La cistite ha diversi gradi di severità, che vanno da un aumento dello stimolo a urinare, a bruciori durante la minzione, fino alla presenza di sangue nelle urine. Quando si effettua un trattamento di radioterapia pelvica, si cerca sempre di mantenere su livelli accettabili la tossicità a carico della vescica, per limitare la gravità dei sintomi infiammatori, ma se nonostante tutto non è possibile evitare la comparsa del problema, diventa necessario trattarlo per poter continuare la radioterapia.
Quali sono le strategie più efficaci?
In passato l’unico trattamento possibile era costituito dall’impiego di farmaci antiinfiammatori come i FANS, o eventualmente si poteva fare ricorso a profilassi antibiotiche per evitare sovrapposizioni batteriche.
Oggi invece l’innovazione farmaceutica ha reso disponibile alternative terapeutiche efficaci a lungo termine, e non solo sui sintomi acuti. Si tratta di sostanze come acido ialuronico e condroitin solfato (GAGs), che facendo parte naturalmente degli elementi costitutivi della barriera protettiva vescicale, sono in grado di ricostruirne l’integrità, intervenendo così sull’origine dei sintomi senza provocare alcun effetto collaterale.
Come vengono somministrati questi farmaci?
Sono instillati direttamente in vescica mediante un catetere, andando così a ripristinare le condizioni fisiologiche della mucosa; di solito un ciclo di 7/10 giorni è sufficiente a far regredire i sintomi.
Su questo fronte si inserisce però una ulteriore innovazione terapeutica, infatti è stata da poco introdotta una formulazione orale di questi farmaci, precisamente in capsule molli (softgels), che rende più semplice la gestione del trattamento.
L’efficacia delle due formulazioni è paragonabile?
Le instillazioni funzionano benissimo, e tutto fa pensare che le softgels possano avere la medesima efficacia: già esistono evidenze in tal senso. Attualmente stiamo approfondendo la fase di verifica con uno studio multicentrico condotto nei centri della Liguria. I dati che stiamo raccogliendo sono molto positivi e mostrano che con la somministrazione ai pazienti di due capsule molli al giorno si ottengono risultati sovrapponibili a quelli ottenuti con la via endovescicale.
Crediamo che l’efficacia che sta dimostrando la formulazione orale dipenda dal fatto che poiché le sostanze attive vengono eliminate dalle vie urinarie, si depositano in vescica, svolgendo perciò la propria azione riparatrice direttamente dove nasce l’infiammazione.
Come è stata accolta dai pazienti questa ultima novità terapeutica?
Consideriamo che i pazienti in radioterapia, colpiti da una patologia seria come il tumore, sono già fortemente medicalizzati e vivono certamente con disagio ogni nuovo trattamento. Da questo punto di vista, in termini di miglioramento di qualità della vita, praticità e sicurezza, le nuove formulazioni orali rappresentano senza dubbio un grande passo avanti. Anche l’aderenza alla terapia ne risente positivamente, perché sapere che si stanno assumendo sostanze naturali, ma in grado di risolvere i propri disturbi meglio di un FANS, aiuta a seguire il trattamento con maggiore scrupolo, a tutto vantaggio del percorso radioterapico.
Tra l’altro bisogna dire che, al contrario dei normali antiinfiammatori, i GAGs svolgono anche un ruolo preventivo, tanto che solitamente li somministriamo già a partire dalla prima seduta di radioterapia, così da ostacolare la comparsa dei sintomi o comunque limitarne la severità.
Le capsule molli, con la loro praticità di assunzione, ci hanno in questo molto agevolato.
* Specialista in Radioterapia Oncologica, Direttore della Struttura Complessa di Radioterapia dell’Ospedale Sanremo-ASL 1 Imperiese.