Rivolgersi a un medico perché si avverte un dolore molto fastidioso – e soprattutto reale – ma essere trattati da “visionari” il cui problema sarebbe esclusivamente di carattere psicosomatico, è di certo una delle esperienze più sconfortanti per un paziente, eppure è proprio quello che accade quasi regolarmente alle donne che soffrono di vulvodinia.
Lo ha spiegato chiaramente il Prof. Leonardo Micheletti, del Dipartimento di Ginecologia e Ostetricia dell’Università di Torino, nel corso dell’ESSIC Annual Meeting 2015, tenutosi a settembre a Roma.
L’ESSIC è un Società Scientifica impegnata da più di 10 anni nello studio delle sindromi pelviche dolorose e della Cistite Interstiziale, e il suo Congresso Annuale rappresenta un appuntamento fondamentale per gli Specialisti, l’occasione di condividere le più recenti ricerche e le ultime innovazioni terapeutiche.
Tornando alla vulvodinia, nella sua generica definizione si parla di un fastidio cronico dei genitali esterni femminili, che determina dolore e bruciore, formicolio o prurito a livello vulvare, in assenza di patologie specifiche rilevabili clinicamente.
Questa generica descrizione non spiega che si tratta in realtà di una patologia molto complessa, che appartiene a un insieme di sindromi dolorose – chiamate “disfunzionali” – come anche la cistite interstiziale, la fibromialgia, la sindrome dell’intestino irritabile, e l’emicrania stessa. In pratica, significa che punti differenti del corpo reagiscono con un dolore non correlato a una lesione visibile, ed è per questo che diventa difficile per il medico inquadrare il sintomo.
Il Prof. Micheletti sottolinea che quando una paziente avverte dolore in sede vulvare-vestibolare, normalmente si cerca di individuare una causa organica: infezioni, infiammazioni, ulcere, dermatosi o anche tumori, ma nella vulvodinia non è presente nessuna di queste malattie. Così, la donna sofferente spesso non viene presa sul serio dal medico, e questo non fa che aumentare la stessa sensazione dolorosa.
Tra continue visite in cerca di una soluzione, la diagnosi corretta può tardare anche di molto (il tempo medio è di circa 4 anni), pregiudicando la guarigione stessa.
Tra l’altro, a peggiorare la situazione, i sintomi possono essere facilmente confusi con quelli della cistite e trattati con antibiotici, assolutamente inefficaci in caso di vulvodinia.
Da cosa ha origine la vulvodinia, questa “misteriosa” patologia?
Come si legge sul sito dell’Associazione Italiana Vulvodinia, l’esatta causa non è nota, però si è scoperto che nelle donne colpite, il nervo pudendo (le cui terminazioni interessano vestibolo vaginale e vulva) presenta fibre più grandi e numerose.
Ipercontrattilità muscolare, alterazioni nella risposta infiammatoria, pregresse infezioni vaginali o eventi traumatici, sono tutte condizioni che possono accompagnare la vulvodinia, portando a ritenere che essa sia in qualche modo legata ad una forma di neuropatia localizzata.
Il fatto che, oltre a vulva e vagina, anche uretra, vescica e zona perianale condividano le terminazioni periferiche del nervo pudendo, può poi portare a una non rara associazione tra vulvodinia e cistite interstiziale, con sensibile peggioramento generale della qualità di vita; in ogni caso circa 1 paziente su 4 lamenta anche disturbi urinari.
Per la vulvodinia non esiste un protocollo terapeutico standard, e i trattamenti proposti non garantiscono risultati costanti e uniformi (antidolorifici, elettrostimolazione antalgica, infiltrazioni di anestetici, agopuntura, ecc.): questo significa che la gestione della malattia deve essere personalizzata e modulata sulla base di una costante relazione medico-paziente.
Ad alleggerire almeno un poco la situazione hanno però contribuito i progressi della farmacologia, andando a intervenire efficacemente sull’aspetto dei disturbi urinari spesso correlati alla malattia. Lo stesso si può fortunatamente dire anche per la cistite interstiziale – a volte associata alla vulvodinia – che trova anch’essa giovamento dai nuovi trattamenti. Ci riferiamo in particolare alla terapia intravescicale con acido ialuronico e condroitin solfato in combinazione, due glicosaminoglicani – GAG che fanno parte della barriera protettiva vescicale e impediscono alle sostanze nocive di scatenare il processo infiammatorio. La cosidetta GAGs Therapy è così in grado di riparare eventuali danni a questa protezione naturale, intervenendo sull’origine dei problemi urinari, e garantendo il miglioramento a lungo termine dei sintomi dolorosi. A tutto vantaggio della qualità della vita delle pazienti.